late for a song – nicola orlandino, son of marketing (8/10)

14 febbraio 2014

Era uno dei ritorni che aspettavamo con un certo interesse e finalmente i piemontesi Dead Cat in a Bag hanno realizzato il loro secondo album in studio intitolato Late For a Song (Viceversa Records). Sono passati tre anni dallo straordinario esordio con Lost Bags che portava alla luce una forma originale di songwriting per quanto riguarda il nostro Paese. Questo nuovo album a livello cromatico è la naturale prosecuzione  del precedente ma c’è una sottile differenza: nella descrizione del primo lavoro i riferimenti erano ben precisi e individuabili (e anche noi non ci siamo sottratti al citazionismo); le quindici nuove composizioni sono il risultato di un affinamento del progetto che innalza il livello dell’identità del gruppo, sviluppando di conseguenza un’immediata riconoscibilità su vari piani da quello strettamente musicale a quello della scrittura e naturalmente quello vocale. Infatti, attribuendo i dovuti meriti ad un ensemble di musicisti eccezionali,  ”L’uomo in più” che fa la differenza è Luca Andriolo (e la modulazione della sua voce) che con le sue interpretazioni (eccezionale quella in “All Those Things“) riesce a dare una forma tridimensionale ai brani e alla poesia delle sue parole, travolgendo (e non solo trasportando) l’ascoltatore a livello di coinvolgimento. Pensate a un brano come “Nothing Sacred” e all’affondo del graffio contemporaneamente all’irrobustimento del suono; dal sussurro e l’elevazione nel predominio strumentale nella splendida reinterpretazione di “House of the Rising Sun“ al tremolante spoken-word che accompagna il ruvido e (quasi) essenziale arrangiamento di “Silence is Not Pure“, fra i migliori pezzi dell’album (Silence is not Pure, It is a grey rustingling of distances/Nothing is Pure. What a Beautiful Silence).  Tornando ad un discorso prettamente musicale, come anticipato precedentemente, le linee stilistiche proseguono un percorso già battuto: vengono canalizzate su atmosfere generalmente cupe (specchio della scrittura), un (neo)folk tenebroso che raschia il minimalismo esaltando l’aspetto vocale o si colora con strati tipici della musica di altre culture vicine (i riferimenti alla musica dell’est di “Wanderer’s Curse” e “ Za Po?z?no Na Piosenke?” e della lacerante “Trop Tard Pour Une Chanson“) e lontane (le atmosfere desertiche e “breakingbadiane” di “Once At Least“);  e infine viene elevato ad arte il mestiere della dissonanza come dimostra la ripresa di “All Those Things“, un piccolo capolavoro come “Unanswered Letters” e l’inferno metaforico di “Just Like Asbestos“. Anche quando la vocalità non compare, non svanisce la capacità narrativa e lo dimostra l’elegante malinconia di “Tarde” e  la tensione di un pezzo strumentale come “Not Even More“. La stessa tensione, costruita perfettamente, in “Old Shirt“ un altro pezzo che cresce d’intensità col passare dei secondi: un brano che mette in evidenza le doti tecniche e il senso estetico della composizione; e siamo anche di fronte anche a uno dei testi più espressivi dell’intero lavoro: Often the journey is better than the destination/But when it’s Calvary it’s just the wrong situation/I can’t leave you the icy plains of Russia, you’ll understand/I died there, long ago, though I never walked the land. Il gruppo ha saputo agire molto bene sul proprio lavoro, rafforzando i propri tratti stilistici e senza autocitarsi. La conferma che il debutto non sia stato un episodio isolato e che siamo davanti ad una delle realtà più interessanti (soprattutto in prospettiva) del nostro panorama musicale in un contesto internazionale. Musica d’esportazione e DOC (di originalità certificata). – See more at: http://www.sonofmarketing.it/late-for-a-song-dead-cat-in-a-bag/#sthash.wFC64Aj9.dpuf